martedì 18 agosto 2020

L'isola dell'abbandono


Recensione scritta da me: Valentina

Titolo: L'isola dell'abbandono

Autore: Chiara Gamberale

Casa editrice: Feltrinelli

Partendo dal mito di Arianna e Teseo, Chiara Gamberale ambienta una tragica storia d'amore e di abbandono, ma anche una rinascita e scoperta di sé, proprio sull'isola di Naxos, dove si racconta che Teseo abbandonò la sua amata. Così come del mito esistono diverse versioni e forse una parte è anche andata perduta, facendone perdere il senso originario, così il viaggio di Arianna, la protagonista del romanzo è un viaggio di perdita, un tentativo estremo di salvare una storia d'amore distruttiva ormai morta, un viaggio in cui scoprire parti nascoste di se stessa, come la capacità di esistere anche nella felicità e non solo nel vuoto e nell'abbandono.  
E' un racconto molto introspettivo, quasi un intero romanzo scritto a modo di "flusso di coscienza", nonostante Arianna parli ed interagisca con altri esseri umani. In fondo è il suo percorso attraverso un passato con cui cerca un equilibrio, attraverso un presente ed un futuro che la spaventano e la fanno sentire ancora una volta non all'altezza. Perché è così anche nella vita reale: la ferita dell'abbandono è una delle ferite psicologiche più difficili da guarire e da accettare, anche attraverso anni di psicoterapia. E' una ferita ancestrale, che ha a che fare con il nostro stesso senso di esistere, che spesso si identifica proprio in quel vuoto e in quel dolore. Esisto perché sto male, esisto finché riuscirò a sentirmi utile nel tentativo di salvare le persone che mi hanno provocato quella ferita, che in fondo me la provocano perché loro stessi ne sono vittime; esisterò fino a che starò male. Arianna ha sempre vissuto così la sua storia con Stefano, un continuo abbandono e ritorno e, tanta era la pace nel momento del ritorno, quanta la pienezza nel sentirsi utile ed amata nel momento dell'abbandono. Perché Stefano andava salvato, ma come ognuno di noi, avrebbe dovuto farlo da solo, per riuscirci davvero.
Nel momento del vero abbandono sull'isola Arianna si ritrova a fare i conti con un sentimento nuovo: la pienezza nella felicità, nel lasciarsi andare, nel non voler sempre controllare tutto e si innamora davvero, forse per la prima volta anche di se stessa. La vita però non smette mai di scompigliare le carte, e fino a che un'esperienza non è vissuta pienamente e superata o, in altri termini, finché non abbiamo imparato quello che dovevamo imparare da quella esperienza, ti ripropone ancora, e ancora una volta, lo stesso specchio in cui guardarti e affrontarti. Così attraverso l'abbandono definitivo ci sarà il momento in cui toccare veramente il fondo, che altro non è che l'inizio della risalita, per quanto difficile sia da capire nel momento stesso in cui ci siamo in mezzo. E infine attraverso una delle sensazioni più inspiegabili della vita stessa, la pienezza della gravidanza e il vuoto/pieno del parto e della successiva esistenza di due nuove creature, una madre ed un figlio, Arianna rianalizzerà tutto il suo passato per capire di aver fatto un viaggio, dall'isola dell'abbandono alla terra ferma, dal bisogno di tenere sempre in mano quel filo per ritrovare la strada di casa, al capire che la strada a volte si trova proprio lasciando andare il filo stesso e abbandonandosi alla vita stessa, che non è né bella né brutta, è vita.
Avevo già letto di Chiara Gamberale "Per dieci minuti" (2013) che mi era piaciuto molto, ma questo ultimo libro ha toccato un tema a me molto presente, in un momento della mia vita in cui sono abbastanza pronta ad affrontarlo in termini adulti e a non aver più voglia di tornare a ritroso lungo il filo per salvarmi, ma a lasciare il filo nell'isola dell'abbandono e a partire per mari nuovi con vele nuove e con l'equipaggio che mi sono scelta.
(Dedicato a Maria Cristina S., che con me ha battuto ogni angolo più remoto della mia Naxos. Grazie!)

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